“Le dichiarazioni rese dalla persona offesa dal reato possono certamente essere assunte quali fonti di convincimento al pari di ogni altra prova, anche se il giudice deve compiere un esame rigoroso dell’attendibilità intrinseca del dichiarante, soprattutto allorquando non vi siano riscontri estrinseci alle sue parole” (Trib. Pavia, sent. n. 1430/2018).
“E’ noto che le dichiarazioni della persona offesa possono assurgere anche da sole e senza necessità di riscontri a prova di colpevolezza, sebbene il giudice debba compiere un esame sull’attendibilità intrinseca del dichiarante, che deve essere particolarmente rigoroso quando siano carenti dati obiettivi emergenti dagli atti a conforto dell’assunto della persona offesa” (Corte d’App. Milano, sez. I pen., sent. n. 5781/2018).
“Le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone” (Cass. pen., sez. V, n. 18285/2018).