In tema di diffamazione a mezzo stampa, le espressioni denigratorie dirette nei confronti dei singoli appartenenti ad un’associazione od istituzione possono, al contempo, aggredire anche l’onorabilità dell’entità collettiva cui essi appartengono, entità alla quale anche, conseguentemente, compete la legittimazione ad assumere la qualità di soggetto passivo di delitti contro l’onore. Ne consegue che, quando l’offesa assume carattere diffusivo (nel senso che essa viene ad incidere sulla considerazione di cui l’ente gode nella collettività), detto ente, al pari dei singoli soggetti offesi, è legittimato alla presentazione della querela ed alla successiva costituzione di parte civile e ad esso compete eventualmente la facoltà di proporre impugnazione nelle ipotesi particolari previste dall’art. 577 c.p.p. (Fattispecie in cui è stata riconosciuta la qualità di persona offesa – con possibilità di costituirsi parte civile e di proporre la impugnazione sopra specificata ad un Consiglio dell’ordine degli avvocati, avendo il giornalista formulato giudizi negativi e denigratori nei confronti di “migliaia di avvocati”, appartenenti ad un predetto ente, ed avendone indicati alcuni come “manutengoli della camorra”) (Cass. pen., sez. V, 14.01.2002, n. 1188).
È valida la querela proposta dal socio rappresentante ed amministratore di uno studio legale in ordine al reato di diffamazione, qualora le espressioni offensive, pur indirizzate a singoli soci e collaboratori del predetto studio legale, si traducano in offesa alla reputazione di questi ultimi, in qualità di componenti di un organismo professionale, coeso per via di associazione, e, quindi, nella lesione della reputazione dell’associazione professionale per la quale sia proposta querela (Cass. pen., sez. V, 16.03.2010, n. 16281).