Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 572 cp. deve considerarsi “famiglia” ogni consorzio di persone fra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà senza la necessità della convivenza e della coabitazione (Trib. Bergamo, 19.12.2012, n. 3136).
In difetto di convivenza, il rapporto familiare di fatto che costituisce il presupposto del reato di cui all’art. 572 c.p., va desunto dalla messa in atto di un progetto di vita basato sulla reciproca solidarietà e assistenza (nella specie, la Corte ha cassata la sentenza di condanna per maltrattamenti in famiglia emessa nei confronti dell’imputato, rinviando al giudice del merito per accertare se la relazione intercorsa tra l’imputato e la persona offesa, per il carattere di precarietà o stabilità e per le finalità che inducevano i due a frequentarsi, fosse tale da realizzare una famiglia di fatto) (Cass. pen., sez. VI, 7.05.2013, n. 22915).
Il reato di maltrattamenti posto in essere dal marito nei confronti della moglie assorbe le ipotesi criminose di cui agli artt. 594, 612-bis e 660 c.p., poste in essere, senza alcuno iato cronologico, anche dopo la cessazione della convivenza, perché la cessazione del rapporto di convivenza, ad esempio a seguito di separazione legale o di fatto, non influisce sulla sussistenza del reato di cui all’art. 572 c.p., rimanendo integri, anche in tal caso i doveri di rispetto, di assistenza morale e materiale e di solidarietà che nascono dal rapporto coniugale (Cass. pen., sez. VI, 14.02.2013, n. 7369).