Il reato di stalking di cui all’art. 612 bis cod. pen. deve ritenersi integrato laddove vi sia la prova della sussistenza di almeno due eventi del reato di atti persecutori, quali il mutamento delle abitudini di vita della vittima e l’evidente capacità delle condotte reiterate di ingenerare nella stessa uno stato di ansia e di timore (nella specie, “la situazione aveva talmente compromesso la situazione di vita della persona offesa da richiedere un mutamento radicale, quale quello messo in atto dal suo capo ufficio attraverso la sospensione del rapporto di training aziendale” (Cass. pen., sez. V, n. 47049/2019).
La gravità delle condotte persecutorie effettuate dall’imputato nell’ambiente di lavoro della persona offesa conduce di per sé “a ritenere assolutamente verosimile che la pesante violazione della sua privacy, la sua qualificazione in termini di scarsa serietà morale ben potesse provocare, secondo l’id quod plerumque accidit, una sicura compromissione della sua serenità lavorativa e personale”. La sottoposizione quotidiana a iniziative denigratorie, attuate con vari mezzi (fotografici, telefonici, telematici), anche presso i superiori della persona offesa, ben può infatti porre quest’ultima in una condizione di fragilità e debolezza lesiva del suo equilibrio (Corte d’App. Milano, sez. I pen., sent. n. 5781/2018).