La consegna all’imputato da parte della persona offesa delle password di quest’ultima necessarie per accedere al proprio account personale “non determina la legittimità dell’accesso operato non già secondo la finalità consentita dal titolare del diritto alla riservatezza (e cioè la riparazione di errori di profilazione esistenti), bensì allo scopo di creare account fasulli collegati al profilo dei social network utilizzati dalla persona offesa, attraverso i quali attuare condotte che hanno leso la sfera privata di costei, ingerendosi indebitamente nella sua vita, nonché al fine di carpire i dati personali presenti sul detto account, poi copiati in back up e cioè salvati al fine di utilizzarli per vessare e perseguitare la vittima” (Cass. pen., sez. V, n. 47049/2019).
Integra il reato di accesso abusivo a un sistema informatico o telematico la condotta di colui che, anche in presenza di una presunta autorizzazione all’accesso da parte della persona offesa al fine di consentire la riparazione di un guasto tecnico del dispositivo, acceda al sistema per acquisire e fare uso delle informazioni personali di quest’ultima per fini extralavorativi (nella specie procedere all’invio di alcuni file, contenenti immagini e mail personali, a terzi soggetti con evidente e grave pregiudizio per l’immagine della persona offesa nonché accedere ai social di quest’ultima dopo aver visualizzato illecitamente le password) (Corte d’App. Milano, sez. I pen., sent. n. 5781/2018).