L’azione civile nel processo penale postula la commissione di un reato dal quale siano derivate conseguenze civili consistenti essenzialmente nella produzione di un danno, patrimoniale o non. Normalmente il soggetto passivo del reato è anche il danneggiato e può pertanto far valere la pretesa civilistica essendo il nesso tra reato e danno lamentato evidente.
Diversamente nelle ipotesi nelle quali non vi è coincidenza tra persona offesa e danneggiato, ovvero quando lo stesso reato produca un danno sia alla persona offesa che ad altro soggetto, va condotto un rigoroso scrutinio ex art. 1322 c.c. tanto sul danno effettivo che sul nesso di consequenzialità immediata e diretta. La valutazione deve portare ad escludere gli obblighi risarcitori per ipotesi di danno indiretto, riflesso od occasionale.
In particolare, il delitto di cui all’art. 643 c.p. mira esplicitamente a tutelare il patrimonio del deceptus o altrui e l’effetto giuridico dannoso dell’atto compiuto ne è appunto elemento costitutivo. Il fatto che, nella prospettazione di parte civile, la condotta decettiva abbia determinato un danno della vita di relazione o financo un danno biologico nei familiari della p.o., che è divenuta estranea ed ostile, non è un danno derivante dal reato (il quale si realizza soltanto col compimento dell’atto pregiudizievole) né è conseguenza immediata e diretta di esso, quanto piuttosto un mero riflesso della condotta. In questi casi, quindi, non può essere ammessa la costituzione di parte civile dei familiari della persona offesa. (G.U.P. di Milano, ordinanza 5.04.2016)